lunedì 22 febbraio 2010

Chapter 28 - GIL SCOTT-HERON I’m New Here 2010


Diciamo la verità, ma questo ultimo mese , è stato sotto il profilo musicale, un immensa boiata, niente di nuovo e sorprendente e con l'aggiunta perdipiù di quella latrina di San Remo.
Ma vagando quà e là sono andato ad ascoltare i generi più disparati cercando qualcosa di recensibile tra le novità del momento.
Così nella ricerca di qualcosa di buono mi imbatto al super recensito Lightspeed Champion con "Life Is Sweet Nice To Meet You" che merita il cestino (e ditemi il contrario); agli Shearwater di Jonathan Meiburg, tastierista degli Okkervil River che con l'Arcipelago dorato ci scassa fino al midollo; Popa Chubby che fà il compitino con "The fight is on"(ma in confronto è un lusso); Danny & The Champions Of The World con "Streets of Our Time" sono anche loro sufficienti con un folk datato ma senza nerbo; la colonna sonora ODDSAC dei Animal Collective la consiglio ma in piccole dosi e mi rifugio così al sicuro con Ted Leo & the Pharmacists ed al cd in uscita The Brutalist Brickse ed al sempre grande Anton Alfred Newcombe ed i suoi "Brian Jonestown Massacre" .
Prefazione 1: Ted Leo nato a South Bend, Indiana l'11 settembre 1970, fratello di 2 cantautori Chris e Danny, si laurea nel 1988 in lingua inglese figlio musicale del trio Weller, Strummer e Bragg inizia a far musica coi Citizen’s Arrest, Animal Crackers ed i Chisel fino a formare il non gruppo Ted Leo ed i Farmacisti già che il primo non è altro che un album solista datato 1999.
Dal 2 cd si forma il gruppo vero e proprio, ma il cantante / chitarrista Ted Leo è rimasto il principale compositore della band, forza creativa, e l'unico membro costante. La musica del gruppo combina elementi di punk rock, indie rock, rock tradizionale, e, occasionalmente, musica folk e dub reggae come da migliore tradizione '70. L'avevo lasciato ad un album tipicamente punk-mod oriented ed ero abbastanza scettico su quest'ultimo lavoro ma vi devo dire che merita più di un semplice ascolto, non è l'album dell'anno ma almeno è tra i più allegri di queste ultime due settimane, forse gli è servito l'aver ascoltato dal vivo i Pearl jam già che gli hanno fatto da openers per sei date negli Stati Uniti nel mese di giugno 2008. 3 stelle.
Ma andiamo al succo: The Brian Jonestown Massacre - Who Killed Sgt. Pepper? non è altro che l'ennesimo "viaggio" musicale(?) di Anton verso il paradiso.
Per i miscredenti raccontiamo un pò la storia del gruppo che altro non è che la storia di Anton Alfred Newcombe.
Nato il 29 agosto 1967 a Newport Beach, California, il polistrumentista (egli si accredita di saper suonare un'ottantina di strumenti), cantautore e testa del progetto neo-rock psichedelico "The Brian Jonestown Massacre", forma il gruppo nel 90 a San Francisco e pubblica dopo un mini cd il primo lavoro lungo nel 95. Conosciuto per i suoi eclettici gusti musicali, lungo i loro 11 lavori c'è di tutto oltre al fatto che si siano alternati oltre 60 membri nella band principalmente dovuto al suo carattere controverso ed i suoi problemi con droghe ed alcool.
Il nostro non è altro che un Syd Barret moderno e con ciò ho sintetizzato il tutto.
Per chi si avvicina al suo mondo questo non è il migliore del lotto ma di gran lunga una spanna sopra la media delle produzioni attuali.
Genio incompreso.
Il disco inizia con un mantra molto simile ai lavori degli Ozric Tentacles.
Nome dovuto alla somma del Rolling Stone Brian Jones ed il Jonestown Massacre, ovvero il suicidio di massa che avvenne nel 1978 nell'omonima comunità spirituale fondata dal “guru” americano Jim Jones in Guyana. 3 stelle.
Passiamo ai Citay.
Una piacevole conferma a partire da quella copertina che un pò mi richiama ai Rain Parade di Emergency Third Rail Power Trip, ricordate le mongolfiere (per chi non li conosce è l'album con cui inziare l'approccio).
I Citay come i già citati Rain Parade sono Californiani, San Francisco, ed alla musica di quella baia si rifanno, prendendo a piene mani da tutto quel che si è sentito a Frisco fin dagli anni 60 ad oggi.
Forse sarebbe più giusto dire fino a ieri, perchè questo loro terzo album, a dispetto del precedente Little Kingdom(Rain Parade spiaccicati) ripropone principalmente le sonorità molto care ai Jefferson Airplane se voglio dare un paragone al loro modo di fare musica, chitarre e tastiese psichedeliche a go-go e cori riconducibili ai padrini di quel freaksound portato se vogliamo ai giorni nostri. Tra cavalcate epiche e ritornelli acustici si arriva a Tugboat dove coverizzano gli immensi Galaxie 500.
3 stelle.
L'altro album della tornata è Booker's Guitar di Eric Bibb.
La storia che ha dato vita a questo album ha il sapore della leggenda, come quella che narra di Robert Johnson e del suo patto col diavolo. Tutto è iniziato qualche anno fa. Dopo essersi esibito a Londra, il bluesman Eric Bibb era nel suo albergo quando fu avvicinato da un fan con in mano la custodia di una chitarra. All'interno di quella custodia c'era una chitarra Resophonic National degli anni '30, appartenuta alla leggenda del delta blues Booker White(cugino di B.B.King). Avere tra le mani quella chitarra è stata per Bibb una sorta di rivelazione, un evento che gli ha ridato consapevolezza delle proprie origini e che lo ha portato a riscoprire la tradizione blues da cui tutto è nato. Quell'incontro londinese ha inspirato una canzone (registrata poi proprio con la chitarra di Booker) e la canzone è poi diventata un album, "Booker's Guitar", che cattura lo spirito originario del delta blues e lo rilegge con gli occhi della modernità. 3 stelle.
Infine vi propongo il lavoro del poeta e musicista statunitense Gil Scott-Heron, nato a Chicago passò la sua prima infanzia nel Tennessee, quindi visse nel Bronx durante gli anni della scuola superiore. Dopo un anno di frequenza all'università alla Lincoln University in Pennsylvania, pubblicò il suo primo romanzo, The Vulture (L'avvoltoio), che fu molto ben accolto.
Iniziò a incidere musica nel 1970 con l'album Small Talk at 125th & Lennox con la collaborazione di Bob Thiele, del co-autore Brian Jackson, Hubert Laws, Bernard Purdie, Charlie Saunders, Eddie Knowles, Ron Carter e Bert Jones, tutti musicisti jazz. L'album includeva l'aggressiva diatriba contro i grandi mezzi di comunicazione posseduti da bianchi e l'ignoranza della classe media d'America sui problemi delle città in canzoni come Whitey on the Moon.
Pieces of a Man del 1971 aveva canzoni dalla struttura più convenzionale rispetto al discorso libero e sciolto del primo album, anche se le classifiche furono raggiunte solo nel 1975 con "Johannesburg". Il suo più grande successo fu nel 1978, "The Bottle", prodotto da Heron e dal suo collaboratore di lunga data Brian Jackson, che toccò il picco al numero 15 delle classifiche R&B.
Durante gli anni ottanta, Scott-Heron continuò a incidere, attaccando di frequente l'allora presidente Ronald Reagan e la sua politica conservatrice. Scott-Heron fu lasciato senza contratto dall'Arista nel 1985 e smise di incidere musica, anche se continuò a fare tour. Nel 2001 Gil Scott-Heron fu arrestato per reati di droga e per violenza privata. Apparentemente, la morte della madre, le spese per il funerale e la cocaina lo portarono in una spirale negativa. Uscito di prigione nel 2002, Gil Scott-Heron lavorò con i Blackalicious e apparve nel loro album Blazing Arrow. Negli ultimi anni ha patito altri problemi giudiziari legati alla droga fino a questo I'm here Now uno splendido album dove il notro con poesia, tocca le corde dell'anima e quelle dell'inferno, sfiorando elegantemente Blues, pop, country, Leonard Cohen, gospel e Captain Beefheart. Da avere. 4 stelle.

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mercoledì 3 febbraio 2010

Chapter 27 - Titus Andronicus - The Monitor (2010)


Titus Andronicus, band di Glenn Rock, New Jersey, attiva dal 2005 ma giunta al battesimo dell’esordio discografico soltanto nel 2008, con una album, “The Airing Of Grievances”, finalmente sono pronti con questo The Monitor a ribadire i concetti del precedente.
Per chi non avesse ascoltato il precedente, Hold Steady ed i Pogues si risentono in questo nuovo lavoro in maniera massiccia, un album a tutto tondo dove non c'è il bisogno di inventarsi qualcosa di nuovo, va bene così com'è.
The Monitor è più o meno un "concept" album - vale a dire, utilizza la guerra civile americana del 1861-1865, come una metafora estesa per i problemi affrontati in una narrazione piuttosto lineare. Ha detto narrativa, perchè sembrerebbe di capire che il nostro eroe lascia la sua umile casa natale del New Jersey - l'oppressiva e soffocante qualità di cui si è discusso fino alla nausea circa un album fa - per i pascoli più verdi di Boston, Massachusetts(paragone musicale).
La sua tesi - "il nemico è ovunque" - viene messo alla prova finale, come si pontifica sui temi dell'identità regionale, anestesia emotiva, e il giogo pesante di cercare di vivere decentemente in tempi indecenti. Per tutto il tempo, è costretto a chiedersi se aver dichiarato la Guerra Civile Americana era veramente vincente o perdente.
Troverà l'ambiente favorevole e la pensano come lui i compatrioti o sarà costretto a lasciare la sua casa di recente adozione in disgrazia ideologica?
Che cosa significa essere un americano nel 2009 ?
Chi sono i nostri cosiddetti "amici" e in realtà quanto sono "amichevoli" ?
È necessario, o addirittura è una buona idea, per un album indie rock farsi questo tipo di domande?
Risposta, non gliene può fregare di meno, questo disco è un vaffanculo grande COSI'!.
The Monitor è stato registrato nel mese di agosto del 2009, sotto l'occhio vigile del produttore e ingegnere Kevin McMahon I soliti sospetti dal mondo del Tito Andronico erano tutti presenti, così come un cast all-star di amici (membri del Ponytail, Wye Oak, Vivian Girls, Hold Steady, ecc)
Sempre Kevin McMahon ha fatto il mixing tra settembre e ottobre, e Greg Calbi ha fatto il mastering ai primi di novembre.

Quindi come suona tutto questo ?
Ha lunghi brani ambient nel senso più punk del termine, sassofono ardente, pianoforte, omaggi a "A Charlie Brown Christmas," marcette, quattordici minuti di Billy Bragg , pezzi liturgici, duetti country altisonanti, bidoni della spazzatura suonati col tamburello, cori di angeli con la faccia "bromantic".
Ho già detto che questo disco è lungo settantaminuticirca ?
Questo è importante perchè questo è il suono di una band di disperati per il successo e con aria di sfida senza paura del fallimento.
E proprio come il Whiskey, che indica generalmente quelli distillati in Irlanda, e negli Stati Uniti, và ascoltato con moderazione, si rischia di farsi del male, positivamente si intende.
Si parte con A More Perfect Union con un cantato di Craig Finn fino a The Battle Of Hampton Road, lunga suite da 14 minuti con cornamusa e violino finali che si beve d'un fiato.
Stordito!!
Vado via dal Pub(femo) col sorriso stampato sul volto ed una gradazione alcolica al di sopra dei livelli di guida.
Titus Andronicus Forever.


Ian Graetzer - basso
Amy Klein - chitarra, violino
David Robbins - tastiera, chitarra
Eric Harm - batteria, voce
Patrick Stickles - voce, chitarra, armonica

Sicuramente il migliore di questo 2010

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